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tre punti della superficie terrestre

 

Le figure femminili appartenenti allo stile I e II non rispecchiano la realtà anatomica più delle donne di Picasso, dalle quali sarebbe difficile risalire alla tipologia antropologica della francese moderna. Il loro grandissimo valore plastico dipende appunto dal fatto che esse riflettono l’elaborazione figurativa della loro epoca, tra il Gravettiano e il Solutreano, quando gli animali erano suggeriti da una curva cervico-dorsale su cui venivano ad agganciarsi alcuni particolari assottigliati alle estremità. E’ peraltro evidente che il canone figurativo è stato modellato e rimodellato da secoli di copie successive: basta confrontare i particolari delle statuette di Kostenki, di Willendorf e di Lespugue per rendersi conto che si tratta dello stesso archetipo, ma che la mirabile figura di Lespugue è costituita da volumi via via modificati, tanto da apparire assurdi sotto il profilo anatomico. Quanto è stato delle delle dee della Fecondità è assolutamente banale e privo di significato: considerare la fecondità come un fenomeno auspicabile è tipico di tutte le religioni, e farne della donna il simbolo non ha niente di originale. Paragonare le figure paleolitiche a statuette mesopotamiche o nicaraguensi tende solo a dimostrare che esistono donne in tre punti della superficie terrestre. In realtà, noi ignoriamo quale fosse il significato profondo che i paleolitici attribuivano alle loro “Veneri”, le quali potevano benissimo essere delle “Giunoni” o delle “Proserpine”.

 

André Leroi-Gourhan, Le religioni della preistoria, 1964 – trad. it. di Elina Klersy Imberciadori, Adelphi 1993 – pp. 145-146.